In questa stagione, attirati dalle prime belle giornate, incomincia la tradizionale processione degli appassionati presso i loro produttori del cuore, chi in cerca delle prime bottiglie di bianco appena prodotte, chi del vino sfuso da imbottigliare a casa, chi semplicemente dell’occasione per fare due chiacchiere con un vecchio amico.
Questo è anche il momento ideale per curiosare tra le vigne, che sono ancora prive di chioma e presentano le gemme appena sbocciate. E facile quindi per noi osservare come sono state potate le piante, e trarre immediatamente alcune utili informazioni sul tipo di filosofia produttiva che anima il nostro amico vignaiolo. Se infatti non è garantito che una vigna ben potata produca poi vino eccellente, è invece molto difficile che ciò avvenga nel caso di una vigna potata malamente o secondo un’ottica iper produttiva. Dopo aver letto questo post, quando andrete a comperare le vostre bottiglie in cantina, potrete a dire al produttore: “Non è un po’ troppo lungo il tuo Guyot?”.
Innazitutto contiamo quante gemme porta ciascuna pianta; quindi stimiamo a occhio qual’è la distanza tra i filari e tra le piante di ciascun filare nella vigna. Fatto? OK! Supponiamo che tali distanze siano (circa) 2m e 1m. Moltiplichiamo 2 per 1 e otteniamo (ovviamente) 2. Dividendo 10000 per 2 otteniamo 5000 che è il numero di piante per ettaro della vigna sotto “inchiesta”. Entriamo ora un po’ più in dettaglio nella potatura.
Esperienze
Alla fine mi sono immolato e l’ho fatto: ho assaggiato UN VINO TRUCIOLATO! L’ho fatto all’incontro dell’ONAV di Imperia di cui avevo parlato qui e intitolato:
“Il mondo del vino si trasforma†– Tecnologie innovative in vinificazione. Degustazione guidata di vini elaborati con macerazione prefermentativa a freddo e utilizzo dei “chipsâ€. Enologo Mario Redoglia.
Il bravo Redoglia ha parlato in verità a lungo dell’Arneis e della Barbera millesimo 2006 della azienda agricola Pescaja prodotti con macerazione a freddo ed uso di CO2 gassosa per allontanare l’ossigeno e ridurre ai minimi termini l’impiego di SO2 (parliamo di 60 mg/l di SO2 totale per l’Arneis, con l’obbiettivo di ridurla a 50 mg/l il prossimo anno), e dai profumi molto piacevoli anche se forse da una parte atipici per la tipologia dei vitigni, e dall’altra un po’ omologati in quanto simili (soprattutto l’Arneis) a tanti vini prodotti con tecniche simili).
Buona quell’Acqua!
Domenica 11 Marzo sono stato qui. Una parola sola: complimenti! Complimenti davvero a l’Acquabuona per essere riusciti a concentrare in un unico evento il massimo che la Toscana enologica sa offrire. Parliamo di aziende come Poggio di Sotto con le sue riserve, e Biondi Santi con tutte le sue etichette.
Un festival del Sangiovese quindi, dove tutto ma proprio tutto sapeva di Sangiovese, perfino i supertuscan a base di merlot!
Di solito in questi casi si parte bellicosamente armati di schede e taccuino, ma poi si naufraga miseramente tra calici e bottiglie, e rimane solo il filo della memoria e qualche biglietto da visita a legare l’insieme di ciò che si è assaggiato. Ecco quindi alcune note del tutto personali, senza troppe pretese tecniche.
Il vino dei Blogger – Capitolo 5: In viaggio con Luk
Vi prego di scusare l’irriverente accostamento del titolo, ma non ho resistito!
Dunque, la cara Elisabetta mi ha passato il testimone e ora tocca a me la scelta del prossimo capitolo del Vino dei Blogger, iniziativa lanciata da Marco Grossi di Imbottigliato all’origine, sulla scia dell’americano wine blogging wednesday.
Bene, il dado è tratto e qui si parrà la vostra nobilitate!
Immagino che tutti abbiano visto Sideways – In viaggio con Jack, e ricordino l’esilarante frase di Miles “If anyone orders Merlot, I’m leaving. I am NOT drinking any fucking Merlot! “.
Magari qualcuno pensa che l’odio di Miles per il Merlot sia dovuto all’usanza californiana di utilizzare tale vitigno per produrre un mare di vini di basso livello che ne sfruttano unicamente l’elevata fertilità , ma in realtà il contrasto è più profondo e insanabile; infatti Miles odia il Merlot ma adora il Pinot Noir
E’ sufficiente confrontare un grappolo di Merlot e uno di Pinot Noir per capire. Il primo è grande, alato, spargolo, esuberante; il secondo serrato, piccolo e compatto. Il primo è l’immagine dell’esuberanza, dell’apertura gioiosa, della voglia di concedersi. Il secondo manifesta immediatamente tutta la sua introversione, la sua cerebralità un tantino incazzosa e aristocratica. Lo stesso profilo lo si ritrova nei vini prodotti e nella psicologia di chi ama l’uno o l’altro.
Bene amici miei, per chi votate? Merlot o Pinot? Ecco il tema. Scegliete una bottiglia e parlatene. Le regole sono le seguenti:
-o Merlot, o Pinot Noir;
-le bottiglie devono essere prodotte in Italia. Lo so che i francesi “do it better”, ma decido io e i vini devono essere italiani, non importa se altoatesini o siciliani, ma italiani;
-l’unico esentato dalla precedente regola è Joan Gómez Pallarès, che ovviamente è autorizzato a commentare prodotti spagnoli;
-non pongo limiti di budget, anche se non sarebbe originale dire che l’Apparita o il Masseto sono buoni vini.
Ecco, è tutto…..ah dimenticavo la scadenza. Avete a disposizione tutto il mese di Marzo per trovare il vostro Merlot/Pinot del cuore e convincere gli altri delle vostre ragioni!
Buon lavoro!
Luk
Dove ho sbagliato?
Chiarisco subito un concetto: non credo alla teoria strampalata che sta dietro alla biodinamica, ma ho una certa fiducia nella dedizione pratica dei coltivatori biodinamici, ed un grande apprezzamento per molti prodotti.
Ho letto sul sito di Emidio Pepe il disciplinare di produzione biodinamica Renaissance, che alcuni produttori hanno deciso di sottoscrivere. Niente di male! Anzi, il codice suddetto contiene molte cose interessanti (no trucioli, enzimi ecc.), ma anche cose che mi sembravano meritevoli di approfondimento critico, in quanto a mio avviso un po’ zoppicanti.
Ho spedito dunque questa missiva a uno degli adepti (si può dire?) di cui mantengo anonimi i riferimenti:
Gentile Sig. XXX,
leggo sul sito di Emidio Pepe il disciplinare Renaissance, di cui Lei
risulta XXX.
Volevo a tal proposito farLe una domanda, e porLe una critica.
Cominciamo dalla critica.
L’affermazione che non è consentito “l’intervento termico volto a mutare
il naturale diagramma della temperatura del mosto” mi sembra in
contraddizione con l’affermazione che “la fermentazione (sia tumultuosa
che malolattica) deve avvenire spontaneamente in tini di legno, cemento
o acciaio inox”.
Infatti l’utilizzo di contenitori in legno, cemento e inox, anche in
funzione della loro capacità , porta inevitabilmente a diagrammi di
temperatura completamente diversi; a questo punto c’è da domandarsi
quale sia il diagramma “naturale” di temperatura.
In quanto alla domanda invece, vorrei chiederLe come in zona XXX
conducete la difesa contro la flavescenza dorata, che non mi pare
possibile con le sostanze citate nel disciplinare.
Infine Le chiedo se posso rendere pubblica sul Blog
www.thewineblog.net/vino la presente lettera e la Sua eventuale
cortese risposta.
Cordialmente
Luca Risso
Whither Australian Chardonnay?
by Martin Field
I enjoyed a bottle of Laroche Petit Chablis 2004 ($28) the other night. A Chablis of a lesser appellation admittedly, but a lovely aperitif for all that. Not a fruity style but clean, acidic, minerally, without apparent oak and showing lip-smacking persistence. As I poured another glass I wondered why Australian winemakers don’t or can’t make something similar.
Of course, I’m not suggesting we can copy the inimitable Chablis but it is made from chardonnay and we have more than enough of that in Australia to experiment with. But what do we do with chardonnay? We make big, blowsy, buttery, oak-saturated, oily, soft, sweet, alcoholic, over the top wines, is what we do.
In the unrefined circles I move in, these styles are rarely seen on the dining table any more. Many people are sick of them and are more likely to pour sauvignon blanc, riesling, pinot gris or even viognier.
And as for cellaring Oz chardonnay, in my experience it’s a waste of time and space and money. Just lately I’ve opened a selection of aged (six years and more) premium bottles. Mostly, they’ve been disappointing. They lack acid; they display premature brownish hues and oxidative bouquets and are fat and flabby on the palate. Yet rieslings and semillons of similar age are inevitably youthful in appearance and a delight to drink.
Thinks: if I’m going to drink chardonnay, I’ll stick to just-released, unwooded styles, and Chablis – when I can afford it.
Grumpy old wine writer
by Martin Field
I’ve occasionally been criticised by a tiny minority of readers for not taking wine seriously enough. For, as it were, too much taking of ze peez. In a spirit of détente, ecumenicalism and with good will to all, I henceforth vows to treat all wine matters with a level of appropriate gravitas. Here goes…
‘Let us have wine and women,* mirth and laughter, Sermons and soda-water the day after’
That well-known clairvoyant Lord Byron wrote the above way back when. Today his words might well apply to the debate concerning the after-effects of environmental degradation and the no doubt related drought that continues to devastate Australia.
A handy barometer of Yarra Valley climate change is the unirrigated shiraz vine in our garden, which has shown signs of stress from water deprivation for the first time in 17 years. The leaves are wilted and browning at the edges; the grape bunches, while plentiful, bear sparse berries and while some show a youthful purple, many are green and scrawny.
Similarly, our tomato plants are dying, the lawn is brown and parched and our sinks are cluttered with buckets, in a foolhardy attempt to recycle greasy washing-up water.
My tastebuds have a brainwave
To cope with the water shortage, I racked my brains for a water substitute. It had to be cheap, non-toxic and with similar qualities to H2O. That is, tasteless, odourless and colourless. Then, while I was absentmindedly sipping such a liquid, my tastebuds had a brainwave (sort of like an organoleptic epiphany – to put it more simply). I’d drawn the magic potion from a four-litre cask (bag in a box) of white wine that a poverty-stricken friend had left, inadvertently, in our kitchen.
It met all the above criteria, and I thought, if Cleopatra could bathe in asses’ milk why should I not shower in cask wine? A wise move. The acid and alcohol have done wonders for my complexion, there is evidence of hair regrowth amidst my monk’s tonsure and people in the street stop to ask me where they can buy the fragrant aftershave I waft onto the breeze as I stroll along the boulevard.
Try it yourself and see. A word of warning though. When I used a bucket of the stuff to wash the car it made the paint bubble.
More Wine Haiku
Bruno of Balmoral sent in this little gem.
Smouldering red dawn
frantic waves quench ash grey sand
like sparkling shiraz
Noshtalgia
by Martin Field
Mango juice in Peshawar
In 1971, I travelled the hippie trail over land (and sea) from London to Melbourne and stayed a little while in Afghanistan, which was as peaceful as you’d like. We left Kabul late one afternoon in our clapped out bus, heading to Pakistan via the Khyber Pass. Somewhere in the Pass we stopped at a lawless village where fierce-looking Pathans wandered round with rifles and bandoliers. Most things banned in the rest of the world were on sale there. Cheap.
We headed onwards to Peshawar and stopped in the dark by the steamy roadside to camp. Out of the night came an armed local with whom we shared a smoke or two. He looked up suddenly and disappeared into the scrub. Next thing up drives a Pakistani army Jeep with a lieutenant and a couple of off-siders. They told us it was unsafe to camp there ‘Too many bandits.’
Too tired to move on we insisted on staying so they went off and came back later with six more soldiers (and a welcome jerry can of drinking water) and spent the night with us. In the morning, they accompanied us to the next village and took us to the well where they’d got our water. It was full of scum and algal bloom…
I didn’t fancy another glass of sludge so from one of the many stalls along the road I bought what I thought was a bottle of soft drink – it was icy cold mango juice – the quintessence of fresh mango to my dry and bacterially laden tongue. This heavenly mango juice sustained me on my trip through Pakistan. After all these years, I can almost taste it now.
PS I met one of my fellow travellers in Melbourne years later. He too had drunk the scummy water that night and still had an immovable colony of dysenteric amoeba residing in his guts to prove it.
Spitbucket Drinking
by Martin Field
The Crossings Sauvignon Blanc 2006 – $19 \_/\_/
Marlborough, New Zealand. Nose of lychees and fruit salad. Clean lime juice palate with tangy, citric acidity to finish. Ideal aperitif style.
d’Arenberg The Stump Jump Riesling, Sauvignon Blanc, Roussanne, Marsanne 2006 – $13 \_/\_/
McLaren Vale, South Australia. Nose of sweet melons and dried pears. Softish, generous white with plenty of fruit sweetness and mild acid. Would suit entrée pasta dishes.
Peter Lehmann Eden Valley Riesling 2006 – up to $15 \_/\_/\_/$
South Australia. Green-tinged, very pale. Lime blossoms and lemon sherbet on the nose. The palate shows more of the citrus and finishes crisp and dry. Will age gracefully to 2013.
Haselgrove Reserve Viognier 2006 – $25 \_/\_/\_/
Adelaide Hills, South Australia. Bouquet of dried apricots and faint vanillin oak. More stone fruits on the palate are supported by oak toastiness. Finishes firm enough to suit well-seasoned entrées.
Roundstone Gamay 2006 – $20 \_/\_/
Yarra Valley, Victoria. Gamay is the grape of Beaujolais and this wine has obviously been made after that style. Redcurrant jelly hues. Fruity juicy nose. Pleasing medium-weighted palate of ripe raspberries with an off-dry finish. Lovely lunch wine, serve cool.
Allinda Yarra Valley Pinot Noir 2004 – $24 \_/\_/\_/
Strawberry conserve dominates the savoury nose. A biggish (14% alcohol) pinot of mouth-filling cool climate berries over a mild tannic structure. Firm, dry and persistent on the finish.
Frog Rock Cabernet Sauvignon 2003 – $25 \_/\_/\_/
Mudgee, New South Wales. Plummy nose with a hint of liquorice and oak. This is a generous red showing more plumminess in the mouth along with pleasant savoury aspects. Assertive tannins, upfront acidity and a long finish augur well for the dinner table.
Wolf Blass Grey Label Shiraz 2005 – up to $40 \_/\_/\_/\_/
McLaren Vale, South Australia. Deep crimson coloured. Attractive spicy peppery nose. The palate is thick and chewy with intense blackberry fruit and mocha to follow. In a word, scrumptious.
Spitbucket rating system
Five gold spitbuckets \_/\_/\_/\_/\_/ – brilliant
\_/\_/\_/\_/ – classy
\_/\_/\_/ – first-rate
\_/\_/ – good stuff
\_/ – spit it!
An added $ or two denotes excellent value for money.