Parafrasando Asterix, comincia cosi’ un articolo appena pubblicato sul magazine “Vignaioli Piemontesi”. Perché sarebbero pazzi gli australiani: come on in and have a look please!
Prendo spunto su un interessante articolo della rivista Vignaioli Piemontesi (www.vinidea.net) – rivista forse non molto conosciuta ma, per me sempre ricca di spunti mai banali.
Di cosa si parla in sostanza: in Australia ogni produttore di uva paga una tassa per ogni tonnellata di uva prodotta (3 dollari australiani), che conferisce in un fondo nazionale per la ricerca.
Lo stato federale australiano poi, raddoppia l’ammontare di questo fondo, e lo mette a disposizione di un comitato formato da rappresentanti del mondo della produzione. Il comitato valuta a chi finanziare tra le varie università e centri di ricerca che, in concorrenza tra loro, presentano dei progetti di ricerca su degli argomenti ricalcanti delle linee guida tracciate dal comitato stesso, che decide chi finanziare e sorveglia l’andamento della ricerca dei progetti che vincono il finanziamento.
E già qui viene da ridere, che pazzarelli questi australiani, ma chi si credono di essere?
Non bastasse questo, in occasione del congresso di Melbourne del luglio 2004, tra le mosse strategiche necessarie per raggiungere il progetto Australia 2025 (un progetto di tutto il comparto vitivinicolo australiano, come Nazione intera fino al 2025, avete capito bene, non il 2005 che è il nostro orizzonte temporale in Italia)è stato deciso quintuplicare le risorse per la ricerca vitivinicola. I produttori australiani hanno quindi chiesto, ed ottenuto dal Governo, di provvedere ad aumentare il prelievo volontario da 3 a 5 dollari australiani già a partire dalla vendemmia 2005, alle porte nell’emisfero sud. Il tutto a generare un fondo di 20 milioni di euro al quale si aggiungerà il pari fondo di 20 milioni dello stato – totale 40 milioni di euro – da destinare alla ricerca vera,, quella voluta e sostenuta dal comparto produttivo, concreta e relamente in grado di ottenere risultati che influenzino in modo sostanziale l’avanzamento della qualità ed in generale delle conoscenza del comparto vitivinicolo australiano.
E questo, aggiunge Gianni Trioli, autore dell’articolo, nel bel mezzo di una crisi mondiale del vino, proprio quando si dovrebbe ridurre le spese “inutili“.
Allora, sono pazzi o no questi Australiani? ( o forse no).
Grazie all’autore di, un articolo vero sul mondo del vino, e non delle balle autocelebrative sulla nostra, tutta presunta, superiorità , o sul fatto che gli “aussies” vendono solo perché fanno prezzi stracciati.
Da noi qual’e’ la risposta? Burocrazia, rendite di posizione arcaiche e incrostate, protezionismo, dirigismo, bollini, timbri, fascette, e sopratutto una straordinaria miopia che ci condurrà chissa dove.
Apro cosi’ l’argomento, poi più avanti tratterò più a fondo della situazione italiana, o comunque di quella che io conosco.
Gianpaolo
Ciao Gianpaolo,
l’articolo e’ molto interessante soprattutto perche’ secondo me apre sulla questione delle opportunita’ mancate del sistema italiano.
Io sono sempre piu’ convinto che la ricerca, la cura della coltivazione, il controllo delle rese, un processo produttivo perfetto, possano garantire un buon prodotto ma non un grande prodotto.
In questo senso, posto che gli aussie sono anni luce avanti a noi in cultura e programmazione, come da me notato nella mie brevi visite laggiu’, io ho la speranza e la convinzione che in Italia la combinazione di alcuni vitigni e alcuni territori (Barolo per esempio) determini la possibilita’ di realizzare un grande vino che forse molte zone dell’australia non hanno.
Invece, ho il dubbio “positivo” che in Italia di combinazioni vitigno-territorio ce ne siano da scoprire ancora alcune…
bacca
bacca