Il vino in Italia non è sempre stato come lo conosciamo oggi. Possiamo dire che la nostra storia in questo campo incomincia con l’unità politica del Regno d’Italia (1861), quando anche con l’enologia si cercò di creare un principio di coscienza unitaria. Il vino di Barolo e il vino del Chianti prendono forma nella prima metà dell’800 ma solo con l’unità d’Italia incominciano a essere presentati nei concorsi e nelle esposizioni internazionali e ad affermarsi come prodotti di qualità superiore. Naturalmente non esistevano denominazioni, disciplinari, albi di vitigni e in generale chiunque poteva produrre vino assolutamente come gli pareva. D’altro canto la prima riorganizzazione della viticoltura su basi razionali avvenne solo in seguito e a causa della devastazione causata dalla Filossera, dopo il 1868.
Anno di grazia 1865. Il Regno d’Italia è cosa fatta. Mancano all’appello solo Veneto, Friuli e Lazio. A Dublino si svolge una Esposizione Internazionale, una “Expò” diremmo oggi, e il Regno presenta una selezione delle eccellenze industriali e agro-alimentari nazionali. Naturalmente c’è anche il vino, la “crème de la crème†delle bottiglie del Bel Paese; si tratta di bel 49 produttori per 269 etichette o campioni presentati. L’elenco completo all’interno del catalogo dell’esposizione si può consultare qui.
Alcune cose sono davvero interessanti. Ci sono vini ancora esistenti, vini scomparsi e altri i nuce. Il tutto comunque molto lontano dai nostri canoni abituali.
Scopriamo che ad Alghero era comune il Torbato, mentre ad Acqui Terme si producevano Barbera, Dolcetto, Grignolino, Moscato, ma anche Barolo secco (sic) e Nebbiolo spumante. A Caluso già si produceva l’Erbaluce, ma anche uno strano Pelleverde. A Faenza c’era il Piccolit e lo Zamone, a Torino il Barbarossa e la Bonarda. A Bobbio un produttore molto affermato, tal Buelli Esuperanzo, produceva Alicante bianco, Champagne, Frontignan, Madeira, Malaga, Marsala, Tokay, Aleatico, Bordeaux, Borgogna, Isabella e Vino Sardo (qualunque cosa voglia dire).
C’erano già il Vin Santo e tutta la batteria dei Moscati e delle Malvasie, sia rosse che bianche.
A Castel Ceriolo (Al) c’era chi produceva Montepulciano, ad Asti dell’ottimo Barolo, del Bracchetto, della Passaretta e del Natalino.
Un commerciante di vini molto reputato di Genova, produceva a Neive un Nebbiolo bianco dolce nonché un Nebbiolo e una Barbera frizzanti.
C’era già Florio con i suoi Marsala, mentre Rocca Carlo di Alba presentava un costoso Barbaresco bianco e un Nebbiolo dolce.
C’era la Nascetta di La Morra, il Sangiovese di Forlì. In Puglia c’erano Sostrato, Zagarese e Aleatico, a Loreto (An) Lacrima e Balsamino.
C’era anche un produttore ligure, con tre vini rossi delle annate 1857, 1859 e 1863 e uno bianco sempre del 1863. I vitigni purtroppo non sono citati. Il produttore era Vincenzo Gabaldoni (1) e i vini erano prodotti in questa cantina di Montale, nel comune di Varese Ligure. I vini di Gabaldoni erano stati addirittura premiati l’anno precedente durante l’Esposizione Agricola a Torino.
Le nostre umili origini insomma sono queste qui. Quando nel 1855 nel Mèdoc veniva già istituzionalizzata la classificazione per Cru, da noi regnava il totale marasma da cui non ci siamo tirati fuori completamente nemmeno oggi se dopo avere impiegato 150 anni a costruire e valorizzare le nostre denominazioni migliori siamo sempre pronti a rimettere tutto in discussione, a importare e piantare di tutto e a creare decine di denominazioni inutili.
Luk
(1) In realtà  dovrebbe trattarsi del figlio Carlo Andrea Gabaldoni.
Vincente Gabaldòn fuggì dalla Spagna in seguito alla cacciata dei Gesuiti del 1767 e riparò a Genova, Sposando Giovanna De Ferrari, italianizzando il nome e investendo i suoi capitali in Liguria.
interessante articolo.
Certo che ne abbiamo fatta di strada!
Si, un po’ a zig zag ma ne abbiamo fatta!
Luk