L’etichetta recita “Poggio Gherardo Chianti DOCG”, imbottigliato da C.S.C. – S.C.A.R.L. Tavernelle Val di Pesa, Firenze.
Versato il vino nel bicchiere, il colore appare di un bel rubino brillante, anche se non molto carico. Il naso attacca con profumi tipici di viola, sottobosco ed un pizzico di liquirizia; non si sentono fortunatamente influenze legnose, passibili di sospetto truciolaggio.
Il quadro però non evolve positivamente con l’ossigenazione; forse la liquirizia prende per un attimo il sopravvento ma poi tutto scema in intensità in pochi minuti. In bocca c’è corrispondenza, anche se la persistenza del vino è pari a circa un millisecondo. In compenso rimane una sensazione un po’ amara anche se non troppo fastidiosa. Il prezzo non supera verso il basso quello di Fiorenzo, ma il discount dove ho fatto l’acquisto è probabilmente un po’ meno hard.
La domanda di partenza su come certi prezzi siano possibili, IMHO trova risposta (anche se mi sembra assurdo) nella dicotomia tra il produttore (che non sapremo mai chi sia) e l’imbottigliatore, di solito una cooperativa, che riesce evidentemente in momenti di difficoltà di mercato, a spuntare prezzi appena sufficienti a rendere meno conveniente la distillazione. La logica dei grandi volumi fa poi il resto.
Se si vuole (ma si vuole?) evitare questo fenomeno, la soluzione è abbastanza semplice: imporre un criterio ben più severo dell’attuale alle commissioni di degustazione dei vini DOCG. Un modello possibile mi sembra possa essere quello del buttafuoco storico. Poi naturalmente occorrerebbero verifiche a campione sui prodotti in commercio per correggere “eventuali erroriâ€.
Fantascienza?
Luk